Ïðèêëþ÷åíèÿ Ïèíîêêèî / Le avventure di Pinocchio. Storia di un burattino Êàðëî Êîëëîäè

1. Come and che Maestro Ciliegia, falegname, trov un pezzo di legno, che piangeva e rideva come un bambino

C’era una volta[1] un pezzo di legno.

Non era un legno di lusso, ma un semplice pezzo da catasta, che d’inverno si mettono nelle stufe per accendere il fuoco e per riscaldare le stanze.

Non so come andasse[2], ma un bel giorno questo pezzo di legno capit nella bottega di un vecchio falegname, il quale aveva nome Mastr’Antonio, se non che[3] tutti lo chiamavano maestro Ciliegia, per via[4] della punta del suo naso, che era sempre lustra e paonazza, come una ciliegia matura.

Appena maestro Ciliegia ebbe visto quel pezzo di legno, si rallegr tutto; e borbott a mezza voce:

– Questo legno capitato a tempo[5]; voglio fare una gamba di tavolino.

Detto fatto[6], prese subito l’ascia arrotata per cominciare a levargli la scorza e a digrossarlo; ma quando fu l per lasciare andare la prima asciata, rimase col braccio sospeso in aria, perch sent una vocina sottile sottile, che disse raccomandandosi:

– Non mi picchiar tanto forte!

Figuratevi come rimase quel buon vecchio di maestro Ciliegia!

Gir gli occhi smarriti intorno alla ul per vedere di dove mai poteva essere uscita quella vocina, e non vide nessuno! Guard sotto il banco, e nessuno; guard dentro un armadio che stava sempre chiuso, e nessuno; guard nel corbello dei trucioli e della segatura, e nessuno; apr l’uscio di bottega per dare un’occhiata[7] anche sulla strada, e nessuno. O dunque?…

– Ho capito; – disse allora ridendo e grattandosi la parrucca – si vede che quella vocina me la sono figurata io[8]. Rimettiamoci a lavorare.

E ripresa l’ascia in mano, tir gi un solennissimo colpo sul pezzo di legno.

– Ohi! tu m’hai fatto male! – grid rammaricandosi la solita vocina.

Questa volta maestro Ciliegia rest di stucco, con gli occhi fuori del capo per la paura, con la bocca spalancata e con la lingua gi ciondoloni fino al mento, come un mascherone da fontana.

Appena riebbe l’uso della parola, cominci a dire:

– Ma di dove sar uscita questa vocina che ha detto ohi?… Eppure qui non c’ anima viva. Che sia per caso questo pezzo di legno che abbia imparato a piangere e a lamentarsi come un bambino? Questo legno eccolo qui;  un pezzo di legno come tutti gli altri, e a buttarlo sul fuoco… Se c’ nascosto qualcuno, tanto peggio per lui.

E cos dicendo, agguant con tutte e due le mani quel povero pezzo di legno, e si pose a sbatacchiarlo senza carit contro le pareti della ul.

Poi si messe in ascolto[9], per sentire se c’era qualche vocina che si lamentasse. Aspett due minuti, e nulla; cinque minuti, e nulla; dieci minuti, e nulla!

– Ho capito; – disse allora arruffandosi la parrucca – si vede che quella vocina che ha detto ohi, me la sono figurata io! Rimettiamoci a lavorare.

E perch gli era entrata addosso una gran paura, si prov a canterellare per farsi un po’ di coraggio.

Intanto, posata da una parte l’ascia, prese in mano la pialla, per piallare e tirare a pulimento il pezzo di legno; ma nel mentre che lo piallava in su e in gi, sent la solita vocina che gli disse ridendo:

– Smetti! tu mi fai il pizzicorino sul corpo!

Questa volta il povero maestro Ciliegia cadde gi come fulminato. Quando riapr gli occhi, si trov seduto per terra.

Il suo viso pareva trasfigurito, e perfino la punta del naso, di paonazza come era quasi sempre, gli era diventata turchina dalla gran paura.

2. Maestro Ciliegia regala il pezzo di legno al suo amico Geppetto, il quale lo prende per fabbricarsi un burattino meraviglioso, che sappia ballare, tirar di scherma e fare i salti mortali

In quel punto fu bussato alla porta.

– Passate pure, – disse il falegname, senza aver la forza di rizzarsi in piedi.

Allora entr in bottega un vecchietto tutto arzillo, il quale aveva nome Geppetto; ma i ragazzi del vicinato lo chiamavano col soprannome di Polendina, a motivo della sua parrucca gialla, che somigliava moltissimo alla polendina di granturco.

Geppetto era bizzosissimo. Guai a chiamarlo Polendina! Diventava subito una bestia, e non c’era pi verso di tenerlo.

– Buon giorno, mastr’Antonio, – disse Geppetto. – Che cosa fate cost per terra?

– Insegno l’abbaco alle formicole.

– Buon pro vi faccia.

– Chi vi ha portato da me, compare Geppetto?

– Le gambe. Sappiate, mastr’Antonio, che son venuto da voi, per chiedervi un favore.

– Eccomi qui, pronto a servirvi, – replic il falegname, rizzandosi su i ginocchi.

– Stamani m’ piovuta nel cervello un’idea[10].

– Sentiamola.

– Ho pensato di fabbricare un bel burattino di legno: ma un burattino meraviglioso, che sappia ballare, tirare di scherma e fare i salti mortali. Con questo burattino voglio girare il mondo, per buscarmi un tozzo di pane e un bicchier di vino: che ve ne pare?

– Bravo Polendina! – grid la solita vocina.

A sentirsi chiamar Polendina, compar Geppetto divent rosso come un peperone dalla bizza, e voltandosi verso il falegname, gli disse imbestialito:

– Perch mi offendete?

– Chi vi offende?

– Mi avete detto Polendina!..

– Non sono stato io.

– Sta’ un po’ a vedere che sar stato io! Io dico che siete stato voi.

– No!

– S!

– No!

– S!

E riscaldandosi sempre pi, vennero dalle parole ai fatti, e acciuffatisi fra di loro, si graffiarono e si morsero.

Finito il combattimento, mastr’Antonio si trov fra le mani la parrucca gialla di Geppetto, e Geppetto si accorse di avere in bocca la parrucca brizzolata del falegname.

– Rendimi la mia parrucca! – grid mastr’Antonio.

– E tu rendimi la mia, e rifacciamo la pace.

I due vecchietti strinsero la mano e giurarono di rimanere buoni amici per tutta la vita.

– Dunque, compar Geppetto, – disse il falegname in segno di pace fatta – qual il piacere che volete da me?

– Vorrei un po’ di legno per fabbricare il mio burattino; me lo date?

Mastr’Antonio, tutto contento, and subito a prendere sul banco quel pezzo di legno. Ma quando fu l per consegnarlo all’amico, il pezzo di legno dette uno scossone e and a battere con forza negli stinchi del povero Geppetto.

– Ah! gli con questo bel garbo, mastr’Antonio, che voi regalate la vostra roba? M’avete quasi azzoppito!..

– Vi giuro che non sono stato io!

– Allora sar stato io!..

– La colpa tutta di questo legno…

– Lo so che del legno: ma siete voi che me l’avete tirato nelle gambe!

– Io non ve l’ho tirato!

– Bugiardo!

– Geppetto non mi offendete; se no vi chiamo Polendina!..

– Asino!

– Polendina!

– Somaro!

– Polendina!

A sentirsi chiamar Polendina, Geppetto si avvent sul falegname.

A battaglia finita, mastr’Antonio si trov due graffi di pi sul naso, e quell’altro due bottoni di meno al giubbetto. Pareggiati in questo modo i loro conti, si strinsero la mano e giurarono di rimanere buoni amici per tutta la vita.

Intanto Geppetto prese con s il suo bravo pezzo di legno, e ringraziato mastr’Antonio, se ne torn zoppicando a casa.

3. Geppetto, tornato a casa, comincia subito a fabbricarsi il burattino e gli mette il nome di Pinocchio. Prime monellerie del burattino

La casa di Geppetto era una stanzina terrena. La mobilia non poteva essere pi semplice: una seggiola cattiva, un letto poco buono e un tavolino tutto rovinato. Nella parete di fondo si vedeva n caminetto col fuoco acceso; ma il fuoco era dipinto, e accanto al fuoco c’era dipinta una pentola che bolliva allegramente e mandava fuori una nuvola di fumo.

Appena entrato in casa, Geppetto prese subito gli arnesi e si pose a intagliare e a fabbricare il suo burattino.

– Che nome gli metter? – disse fra s e s[11]. – Lo voglio chiamar Pinocchio. Questo nome gli porter fortuna.

Quando ebbe trovato il nome al suo burattino, allora cominci a lavorare, e gli fece subito i capelli, poi la fronte, poi gli occhi.

Fatti gli occhi, figuratevi la sua meraviglia quando si accorse che gli occhi si movevano e che lo guardavano.

Geppetto disse con accento risentito:

– Occhiacci di legno, perch mi guardate?

Nessuno rispose.

Allora, dopo gli occhi, gli fece il naso; ma il naso, appena fatto, cominci a crescere: e cresci, cresci, cresci, divent in pochi minuti un nasone.

Il povero Geppetto si affaticava a ritagliarlo; ma pi lo ritagliava e lo scorciva, e pi quel naso impertinente diventava lungo.

Dopo il naso gli fece la bocca.

La bocca non era ancora finita di fare, che cominci subito a ridere e a canzonarlo.

– Smetti di ridere! – disse Geppetto impermalito; ma fu come dire al muro.

– Smetti di ridere, ti ripeto! – url con voce minacciosa.

Allora la bocca smesse di ridere, ma cacci fuori tutta la lingua.

Geppetto, per non guastare i fatti suoi, finse di non avvedersene, e continu a lavorare.

Dopo la bocca, gli fece il mento, poi il collo, poi le spalle, lo stomaco, le braccia e le mani.

Appena finite le mani, Geppetto sent portarsi via la parrucca dal capo. Si volt in su e che cosa vide? Vide la sua parrucca gialla in mano del burattino.

– Pinocchio!.. rendimi subito la mia parrucca!

E Pinocchio, invece di rendergli la parrucca, se la messe in capo per s.

A quel garbo insolente e derisorio, Geppetto si fece tristo e voltandosi verso Pinocchio, gli disse:

– Non sei ancora finito di fare, e gi cominci a mancar di rispetto a tuo padre! Male, ragazzo mio, male!

E si rasciug una lacrima.

Quando Geppetto ebbe finito di fargli i piedi, sent arrivarsi un calcio sulla punta del naso.

– Me lo merito! – disse allora fra s. – Dovevo pensarci prima! Oramai tardi!

Poi prese il burattino sotto le braccia e lo pos in terra, per farlo camminare.

Pinocchio aveva le gambe aggranchite e non sapeva muoversi, e Geppetto lo conduceva per la mano per insegnargli a mettere un passo dietro l’altro.

Quando le gambe gli si furono sgranchite, Pinocchio cominci a camminare da s e a correre per la ul; finch, infilata la porta di casa, salt nella strada e si dette a scappare.

E il povero Geppetto a corrergli dietro senza poterlo raggiungere, perch quel birichino di Pinocchio andava a salti, e battendo i suoi piedi di legno sul lastrico della strada, faceva un fracasso, come venti paia di zoccoli da contadini.

– Piglialo! piglialo! – urlava Geppetto; ma la gente che era per la via, vedendo questo burattino di legno, si fermava incantata a guardarlo, e rideva, rideva e rideva.

Alla fine capit un carabiniere il quale, si piant coraggiosamente a gambe larghe in mezzo alla strada, coll’animo risoluto[12] di fermarlo e d’impedire il caso di maggiori disgrazie.

Ma Pinocchio, quando si avvide da lontano del carabiniere, che barricava tutta la strada, s’ingegn di passargli, per sorpresa, framezzo alle gambe, e invece fece fiasco.

Il carabiniere lo acciuff per il naso e lo riconsegn nelle proprie mani di Geppetto; il quale voleva dargli subito una buona tiratina d’orecchi. Ma figuratevi come rimase quando non gli riusc di poterli trovare: e sapete perch? perch si era dimenticato di farglieli.

Allora lo prese per la collottola, e gli disse tentennando minacciosamente il capo:

– Andiamo subito a casa. Quando saremo a casa, non dubitare che faremo i nostri conti[13]!

Pinocchio, a questa antifona, si butt per terra, e non volle pi camminare. Intanto i curiosi e i bighelloni principiavano a fermarsi l dintorno e a far capannello[14].

Chi ne diceva una, chi un’altra[15].

– Povero burattino! – dicevano alcuni – ha ragione a non voler tornare a casa! Chi lo sa come lo piccherebbe quell’omaccio di Geppetto!..

E gli altri soggiungevano:

– Quel Geppetto pare un galantuomo! ma un vero tiranno coi ragazzi!

Insomma, il carabiniere rimesse in libert Pinocchio, e condusse in prigione quel pover’uomo di Geppetto. Il quale, non avendo parole l per l[16] per difendersi, piangeva come un vitellino, e nell’avviarsi verso il carcere, balbettava:

– Sciagurato figliolo! E pensare che ho penato tanto a farlo un burattino per bene! Ma mi sta il dovere! Dovevo pensarci prima!..

Quello che accadde dopo, una storia cos strana da non potersi quasi credere, e ve la racconter in quest’altri capitoli.

4. La storia di Pinocchio col Grillo-parlante, dove si vede come i ragazzi cattivi hanno a noia di sentirsi correggere da chi ne sa pi di loro

Vi dir dunque, ragazzi, che mentre il povero Geppetto era condotto senza sua colpa in prigione, quel monello di Pinocchio se la dava a gambe gi attraverso ai campi, per far pi presto a tornarsene a casa; e nella gran furia del correre saltava greppi altissimi, siepi di pruni e fossi pieni d’acqua, tale e quale[17] come avrebbe potuto fare un capretto inseguito dai cacciatori.

Ðèñ.0 Ïðèêëþ÷åíèÿ Ïèíîêêèî / Le avventure di Pinocchio. Storia di un burattino

Giunto dinanzi a casa, trov l’uscio di strada socchiuso. Lo spinse, entr dentro, e appena ebbe messo tanto di paletto, si gett a sedere per terra, lasciando andare un gran sospirone di contentezza.

Ma quella contentezza dur poco, perch sent nella ul qualcuno che fece:

– Cr-cr-cr!

– Chi che mi chiama? – disse Pinocchio tutto impaurito.

– Sono io!

Pinocchio si volt, e vide un grosso grillo che saliva lentamente per il muro.

– Dimmi, Grillo, e tu chi sei?

– Io sono il Grillo-parlante, e abito in questa ul da pi di cent’anni.

– Oggi per questa ul mia, – disse il burattino – e se vuoi farmi un vero piacere, vattene subito.

– Io non me ne ander di qui, – rispose il Grillo – se prima non ti avr detto una gran verit.

– Dimmela e spicciati.

– Guai a quei ragazzi che si ribellano ai loro genitori, e che abbandonano capricciosamente la casa paterna. Non avranno mai bene in questo mondo; e prima o poi dovranno pentirsene amaramente.

– Canta pure, Grillo mio, come ti pare e piace: ma io so che domani, all’alba, voglio andarmene di qui, perch se rimango qui, avverr a me quel che avviene a tutti gli altri ragazzi, vale a dire[18] mi manderanno a scuola, e per amore o per forza mi toccher a studiare; e io di studiare non ne ho punto voglia.

– Povero grullerello! Ma non sai che diventerai da grande un bellissimo somaro?

– Chetati, Grillaccio del mal’augurio! – grid Pinocchio.

Ma il Grillo invece di aversi a male di questa impertinenza, continu con lo stesso tono di voce:

– E se non ti garba di andare a scuola, perch non impari almeno un mestiere, tanto da guadagnarti onestamente un pezzo di pane?

– Vuoi che te lo dica? – replic Pinocchio, che cominciava a perdere la pazienza. – Fra i mestieri del mondo non ce n’ che uno solo[19] che veramente mi vada a genio[20].

– E questo mestiere sarebbe?

– Quello di mangiare, bere, dormire, divertirmi e fare dalla mattina alla sera la vita del vagabondo.

– Per tua regola – disse il Grillo-parlante con la sua solita calma – tutti quelli che fanno codesto mestiere, finiscono quasi sempre allo spedale o in prigione.

– Bada, Grillaccio del mal’augurio!..

– Povero Pinocchio! mi fai proprio compassione!..

– Perch ti faccio compassione?

– Perch sei un burattino e, quel che peggio, perch hai la testa di legno.

A queste ultime parole, Pinocchio salt su tutt’infuriato e preso di sul banco un martello di legno, lo scagli contro il Grillo-parlante.

Forse non credeva nemmeno di colpirlo; ma lo colse per l’appunto nel capo, tanto che il povero Grillo ebbe appena il fiato di fare cr-cr-cr, e poi rimase l stecchito e appiccicato alla parete.

5. Pinocchio ha fame e cerca un uovo per farsi una frittata; ma sul pi bello, la frittata gli vola via dalla finestra

Intanto cominci a farsi notte[21], e Pinocchio, ricordandosi che non aveva mangiato nulla, sent un’uggiolina allo stomaco.

Ma l’appetito nei ragazzi cammina presto, e dopo pochi minuti, l’appetito divent fame, e la fame si convert in una fame da lupi.

Il povero Pinocchio corse subito al focolare, dove c’era una pentola che bolliva, e fece l’atto di scoperchiarla, per vedere che cosa ci fosse dentro: ma la pentola era dipinta sul muro. Immaginatevi come rest. Il suo naso, che era gi lungo, gli ivent pi lungo almeno quattro dita.

Allora si dette a correre per la ul e a frugare per tutte le cassette e per tutti i ripostigli in cerca di un po’ di pane, magari un po’ di pan secco, un crosterello, un po’ di polenta muffita, una lisca di pesce, un nocciolo di ciliegia, insomma qualche cosa da masticare: ma non trov nulla, proprio nulla.

E intanto la fame cresceva: e il povero Pinocchio non aveva altro sollievo che quello di sbadigliare, e faceva degli sbadigli cos lunghi, che qualche volta la bocca gli arrivava fino agli orecchi..

Allora piangendo, diceva:

– Il Grillo-parlante aveva ragione. Ho fatto male a rivoltarmi al mio babbo e a fuggire di casa… Oh! che brutta malattia la fame!

Quand’ecco che gli parve di vedere nel monte della spazzatura qualche cosa di tondo e di bianco, che somigliava a un uovo di gallina. Era un uovo davvero.

La gioia del burattino impossibile descriverla. Si rigirava quest’uovo fra le mani, e lo toccava e lo baciava, e baciandolo diceva:

– E ora come dovr cuocerlo? Ne far una frittata!.. No, meglio cuocerlo nel piatto!.. O non sarebbe pi saporito se lo friggessi in padella? No, la pi lesta di tutte di cuocerlo nel piatto o nel tegamino: ho troppo voglia di mangiarmelo!

Detto fatto, pose un tegamino sopra un caldano pieno di brace accesa: messe nel tegamino, invece d’olio o di burro, un po’ d’acqua: e quando l’acqua principi a fumare, tac!.. spezz il guscio dell’uovo.

Ma invece della chiara e del torlo scapp fuori un pulcino tutto allegro e complimentoso, il quale facendo una bella riverenza disse:

– Mille grazie, signor Pinocchio, d’avermi risparmiata la fatica di rompere il guscio! Arrivedella, stia bene e tanti saluti a casa!

Ci detto, distese le ali, e se ne vol via.

Il povero burattino rimase l, come incantato, cogli occhi fissi, colla bocca aperta e coi gusci dell’uovo in mano. Riavutosi, peraltro, dal primo sbigottimento, cominci a piangere, e piangendo diceva:

– Eppure il Grillo-parlante aveva ragione! Se non fossi scappato di casa e se il mio babbo fosse qui, ora non mi troverei a morire di fame! Oh! che brutta malattia la fame!..

E perch il corpo gli seguitava a brontolare pi che mai[22], e non sapeva come fare a chetarlo, pens di uscir di casa e di dare una scappata al paesello vicino, nella speranza di trovare qualche persona caritatevole, che gli facesse l’elemosina di un po’ di pane.

6. Pinocchio si addormenta coi piedi sul caldano, e la mattina dopo si sveglia coi piedi tutti bruciati

Per l’appunto[23] era una notte d’inferno. Tonava forte forte, lampeggiava come se il cielo pigliasse fuoco, e un ventaccio freddo e strapazzone, fischiando rabbiosamente e sollevando un immenso nuvolo di polvere, faceva stridere e cigolare tutti gli alberi della campagna.

Pinocchio aveva una gran paura dei tuoni e dei lampi: se non che la fame era pi forte della paura: motivo per cui accost l’uscio di casa, e presa la carriera, in un centinaio di salti arriv fino al paese, con la lingua fuori e con il fiato grosso.

Ma trov tutto buio e tutto deserto. Le botteghe erano chiuse; le porte di casa chiuse; le finestre chiuse. Pareva il paese dei morti.

Allora Pinocchio si attacc al campanello d’una casa, e cominci a sonare a distesa, dicendo dentro di s:

– Qualcuno si affaccer.

Difatti si affacci un vecchino, col berretto da notte in capo, il quale grid tutto stizzito:

– Che cosa volete a quest’ora?

– Che mi fareste il piacere di darmi un po’ di pane?

– Aspettami cost che torno subito, – rispose il vecchino, credendo di avere da fare con qualcuno di quei ragazzacci che si divertono di notte a sonare i campanelli delle case, per molestare la gente per bene[24].

Dopo mezzo minuto la finestra si riapr, e la voce del solito vecchino grid a Pinocchio:

– Fatti sotto e para il cappello.

Pinocchio si lev subito il suo cappelluccio; ma mentre faceva l’atto di pararlo, sent pioversi addosso un’enorme catinella d’acqua che lo annaffi tutto dalla testa ai piedi, come se fosse un vaso di geranio appassito.

Torn a casa bagnato come un pulcino e rifinito dalla stanchezza e dalla fame: e perch non aveva pi forza da reggersi ritto, si pose a sedere, appoggiando i piedi fradici sopra un caldano pieno di brace accesa.

E l si addorment; e nel dormire, i piedi che erano di legno gli presero fuoco, e adagio adagio gli si carbonizzarono e diventarono cenere.

E Pinocchio seguitava a dormire e a russare, come se i suoi piedi fossero quelli d’un altro. Finalmente sul far del giorno[25] si svegli, perch qualcuno aveva bussato alla porta.

– Chi ? – domand sbadigliando e stropicciandosi gli occhi.

– Sono io! – rispose una voce.

Quella voce era la voce di Geppetto.

7. Geppetto torna a casa, e d al burattino la colazione che il pover’uomo aveva portata per s

Il povero Pinocchio, che aveva sempre gli occhi fra il sonno, non s’era ancora avvisto dei piedi che gli si erano tutti bruciati: per cui appena sent la voce di suo padre, schizz gi dallo sgabello per correre a tirare il paletto; ma invece, dopo due o tre traballoni, cadde di picchio tutto lungo disteso sul pavimento.

– Aprimi! – intanto gridava Geppetto.

– Babbo mio, non posso – rispondeva il burattino piangendo.

– Perch non puoi?

– Perch mi hanno mangiato i piedi.

– E chi te li ha mangiati?

– Il gatto – disse Pinocchio, vedendo il gatto che colle zampe davanti si divertiva a far ballare alcuni trucioli di legno.

– Aprimi, ti dico! – ripet Geppetto – se no, quando vengo in casa, il gatto te lo do io!

– Non posso star ritto, credetelo. Oh! povero me! povero me, che mi toccher a camminare coi ginocchi per tutta la vita!..

Geppetto arrampicatosi su per il muro, entr in casa dalla finestra.

Quando vide il suo Pinocchio sdraiato in terra e rimasto senza piedi davvero, allora sent intenerirsi; e presolo subito in collo, si dette a baciarlo e a fargli mille moine, e gli disse singhiozzando:

– Pinocchiuccio mio! Com’ che ti sei bruciato i piedi?

– Non lo so, babbo, ma credetelo che stata una notte d’inferno. Tonava, e io avevo una gran fame, e allora il Grillo-parlante mi disse: “Ti sta bene: sei stato cattivo, e te lo meriti” e io gli dissi: “Bada, Grillo!..” e lui mi disse: “Tu sei un burattino e hai la testa di legno” e io gli tirai un manico di martello, e lui mor, ma la colpa fu sua, perch io non volevo ammazzarlo, prova ne sia che messi un tegamino sulla brace accesa del caldano, ma il pulcino scapp fuori e disse: “Arrivedella… e tanti saluti a casa.” E la fame cresceva sempre, motivo per cui quel vecchino col berretto da notte, affacciandosi alla finestra mi disse: “Fatti sotto e para il cappello” e io con quella catinellata d’acqua sul capo, perch il chiedere un po’ di pane non vergogna, non vero? me ne tornai subito a casa, e perch avevo sempre una gran fame, messi i piedi sul caldano per rasciugarmi, e voi siete tornato, e me li sono trovati bruciati, e intanto la fame l’ho sempre e i piedi non li ho pi!

E il povero Pinocchio cominci a piangere e a berciare.

Geppetto tir fuori di tasca tre pere, e porgendogliele, disse:

– Queste tre pere erano la mia colazione: ma io te le do volentieri. Mangiale, e buon pro ti faccia[26].

– Se volete che le mangi, fatemi il piacere di sbucciarle.

Ñòðàíèöû: 12 »»

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